C'e' una certa giustizia poetica nel fatto che Stanley Kubrick sia
scomparso -- o meglio, si sia smaterializzato -- proprio alla fine di
questo secolo, perche' del Novecento il regista americano (ma
naturalizzato inglese, per dissenso con il perbenismo ipocrita della
superpotenza del nostro tempo) ha raccontato quasi tutto. Soprattutto le
paure, come solo un ipocondriaco avrebbe potuto fare: ogni suo film
affronta (e restituisce intatta, al suo livello primario) un'ossessione
contemporanea, dietro la quale si nasconde un'angoscia ancestrale,
capace di trascendere (nel senso di collocarsi dietro, e prima) la
dimensione spaziotemporale. Ed e' esattamente questo a rendere il cinema
di Kubrick universale, e a garantire al regista, se non all'uomo, il --
dubbio, secondo Kubrick -- privilegio dell'immortalita'.
Fin dai
suoi primi lungometraggi salta all'occhio -- l'unico porto di accesso a
interessare veramente Kubrick -- la capacita' quasi medianica del
regista di generare immagini capaci di depositarsi nell'inconscio
collettivo, dove vengono riconosciute e permanentemente archiviate: il
duello nel deposito di manichini di Il bacio dell'assassino (1955);
oppure la strage fra compari di Rapina a mano armata (sempre '55), che
in inglese ha il titolo assai piu' rivelatore di The killing (in questo
caso traducibile come "la mattanza"), una metafora della capacita'
squisitamente umana per l'autodistruzione: metafora della quale si
sarebbe ricordato Quentin Tarantino al momento di girare il suo Le iene.
L'attitudine
umana all'annientamento, proprio o reciproco, diventera' un leitmotiv
del cinema di Kubrick: non a caso il genere piu' frequentato dal
regista, che pure fra i generi cinematografici ha saputo spaziare con
disinvoltura, e' il film di guerra, da Orizzonti di gloria del '57, che
gli ha guadagnato la notorieta', a Il Dottor Stranamore del '64 fino a
Full Metal Jacket dell'87 (ma anche in h3 class="header" style="font-size:40px" e Barry Lyndon la
guerra aveva un ruolo di rilievo, per non parlare della violenza urbana
di Arancia meccanica). Ricorrente anche il tema dell'ossessione erotica,
da Lolita del '62 a Eyes Wide Shut, l'ultimo film di Kubrick, che
analizza le perversioni sessuali di una coppia urbana contemporanea.
Kubrick
ha raccontato paure specificamente contemporanee -- la minaccia
tecnologica (quella nucleare in Dottor Stranamore, quella spaziale e
informatica in 2001 Odissea nello spazio), il livellamento verso il
basso della societa' (in Lolita, ma anche in Barry Lyndon, dove,
attraverso la parabola settecentesca del parvenu del titolo, Kubrick
descriveva la genesi della classe borghese), il degrado morale
foraggiato dal contesto urbano (Arancia meccanica), l'educazione
istituzionale alla violenza come moderno strumento di potere e, allo
stesso tempo, mezzo di sopravvivenza (di nuovo Arancia meccanica ma
anche Full Metal Jacket, che non a caso dedica il suo terzo iniziale
all'addestramento dei soldati in partenza per il Vietnam).
Ma dietro
queste preoccupazioni legate alla realta' attuale si nascondono angosce
senza tempo: la perdita del controllo sulla propria esistenza nel
delegare a terzi le proprie facolta' (l'intelligenza in 2001 Odissea
nello spazio, la sessualita' in Lolita, l'incolumita' fisica nei film di
guerra); l'agorafobia dello spazio (2001); la brutalita' insita nella
natura umana (Arancia meccanica e i film nei quali la guerra viene
ripetutamente descritta come la razionalizzazione piu' universalmente
condivisa della propensione alla violenza); la solitudine esistenziale
(2001); la malattia mentale (Shining); la rivelazione dell'assenza di
Dio (2001).
La genialita' di Kubrick sta nell'aver veicolato paure
emotivamente ingestibili attraverso i codici concordati del genere
cinematografico, la cui riconoscibilita' e' di per se rassicurante: il
noir di Il bacio dell'assassino e Rapina a mano armata, il kolossal
storico di h3 class="header" style="font-size:40px", la fantascienza di 2001 Odissea nello spazio (o
del futuro prossimo venturo di Arancia meccanica), la black comedy del
Dottor Stranamore e di Lolita, l'horror di Shining, la messinscena in
costume di Barry Lyndon, la guerra da Orizzonti di gloria a Full Metal
Jacket.
Kubrick ha saputo parlare del '900 utilizzando il mezzo di
comunicazione proprio di questo secolo, sfruttandone al meglio le
potenzialita' di diffusione culturale, senza per questo livellarsi al
minimo comun denominatore. Cosi' come e' riuscito a rappresentare le
piu' infime bassezze umane attraverso una concettualizzazione alta, che
non passa attraverso le parole (retaggio dei secoli precedenti, e della
cultura di elite) ma esclusivamente attraverso il liguaggio delle
immagini, ampliandone a dismisura il lessico, anche a costo di
rivoluzionare i canoni della cinematografia del suo tempo: e Kubrick e'
stato regista sperimentalista per eccellenza, poiche' ha introdotto nel
cinema tecniche del tutto innovative, dalle carrellate di Orizzonti di
gloria, eseguite facendo scorrere la cinepresa su tramezze di cartone
(molto prima dell'invenzione della steadycam), all'utilizzo di obiettivi
speciali in 2001 Odissea nello spazio o dell'illuminazione naturale (e
parliamo di lume di candela) per gli interni di Barry Lyndon: come
direbbe il "cinematografaro" Vittorio Storaro, riscrivendo la storia con
la luce.
Attraverso la riconoscibilita' dei generi e l'impatto
essenziale delle immagini, Kubrick si e' mantenuto accessibile al grande
pubblico e ha potuto operare una rara sintesi di arte e spettacolo. O
meglio: un secolo culturalmente disorientato ha identificato nel cinema
di Kubrick una forma d'arte a sua misura. Kubrick e' diventato cosi' un
regista popolare nel senso piu' nobile del termine, e commerciale
nell'accezione meno venale. Tutti abbiamo potuto dirci suoi ammiratori
perche' tutti ci siamo immediatamente appropriati (per diritto di
nascita, in quanto esseri umani) della sua iconografia: il feto di 2001
Odissea nello spazio, il ghigno allucinato di Jack Nicholson in Shining,
il travestimento grottesco da guerriero urbano dei drughi di Arancia
Meccanica.
L'associazione di Kubrick fra musica e immagine (ad
esempio nella violenza coreografata di Arancia meccanica, che precede e
anticipa quelle di Mean Streets o Cabaret) non ha solo fatto del regista
l'antesignano della cultura del music video, ma ha anche contribuito a
far sentire intere generazioni piu' culturalmente elevate semplicemente
perche', accanto alle canzonette pop del momento, potevano fischiettare
Strauss e Beethoven. Forse a lui non farebbe piacere saperlo, ma in
questa fine millennio cosi' votata al raggiungimento del consenso,
Kubrick aveva messo d'accordo tutti: la sua genialita', universalmente
riconosciuta, e' stata uno dei pochi punti fermi nell'incessante
fluttuazione del gusto.
Eppure Kubrick non ha mai esercitato un
ascendente emotivo sul suo pubblico: al contrario, e' stato sempre
definito un regista freddo, cinico, addirittura misantropico, complici
anche le sue abitudini di vita da recluso, in totale isolamento dal
mondo, all'interno di un castello della campagna inglese. Per stabilire
se le definizioni corrispondono all'artista (e all'uomo) bisogna prima
reinterpretarle, esattamente come ha fatto Kubrick con i suoi film.
Freddo,
se applicato a questo particolare regista, significa in realta'
cerebrale, in quanto tutte le intuizioni di Kubrick, tutte le sue
angosce esistenziali sono passate attraverso il filtro della sua mente
lucida prima di riprendere forma sullo schermo. Quelli di Kubrick sono
film di testa, si e' detto, e non di cuore: ma potrebbero anche essere i
film di un cuore appassionato che non si capacita di quanto l'uomo
possa allontanarsi dal proprio potenziale positivo (e poiche', secondo
Kubrick, ci si allontana da un "dove", il potenziale positivo deve
esistere, perlomeno come ideale), e che pero' capisce la necessita' di
tradurre il proprio sgomento in segni e simboli, a costo di renderli
talmente astratti da apparire algidi e distanti. Cosi' come il suo
approccio visivo e' sicuramente nitido, ma non necessariamente
distaccato: quale puo' essere il distacco emotivo di un regista che ha
scelto di girare il suo primo film di guerra dall'interno delle trincee,
come ha fatto Kubrick in Orizzonti di gloria (trent'anni prima
dell'"emotivo" Oliver Stone in Platoon)?
Quanto
al cinismo, forse per Kubrick vale il vecchio detto secondo il quale il
cinico e' semplicemente un ottimista deluso. O forse sarebbe piu'
esatto pensare a Kubrick come ad un realista estremo che tuttavia non
smette di sorprendersi (o di indignarsi) davanti alle perversioni della
natura umana. Ecco allora che i protagonisti dei suoi film, anche i piu'
eticamente riprovevoli, sono sempre circondati da ambienti piu'
corrotti di loro, che ne incoraggiano (spiegano?) i comportamenti
devianti (devianti rispetto a un senso morale astratto, non a quello
espresso dal loro habitat): la struttura politica del Dottor Stranamore,
quella militare di Orizzonti di gloria e di Full Metal Jacket (il cui
soldato Joker solo dopo settimane di training arrivera' a indossare
l'elmetto con la scritta "Born to kill"), quella istituzionale di
Arancia meccanica, ma anche la struttura sociale quintessenzialmente
classista piccola di Lolita e Barry Lyndon.
In questo senso il
personaggio Kubrick per eccellenza e' Humbert Humbert, la cui
perversione e' infinitamente meno pervasiva di quella che attraversa la
societa' americana, alla quale Humbert si sente infatti estraneo (o
straniero, come Nabokov, come poi lo stesso Kubrick). Non a caso
Kubrick, come se fosse sintonizzato sulla stessa onda, restituisce a
Humbert la stessa malinconia da sognatore disilluso che trapelava dalla
prosa di Nabokov. E se dobbiamo proprio spiegare il regista attraverso
le scelte personali dell'uomo, ci riesce difficile giudicare cinico un
recidivo arrivato a sposarsi (e non semplicemente "accoppiarsi") per tre
volte, e a diventare per tre volte padre.
Se non di misoginia,
Kubrick e' stato spesso tacciato di misantropia. Ma i suoi film, al di
la' della "freddezza" dello stile e dell'insistenza sulle bassezze
dell'uomo, non suggeriscono necessariamente il disprezzo del regista nei
confronti del genere umano. In ognuno c'e' almeno una scena visivamente
intollerabile: pensiamo al confronto perdente fra il colonnello e il
suo ottuso superiore in Orizzonti di gloria, alla crocefissione di
h3 class="header" style="font-size:40px", all'impotenza di Humbert Humbert quando vede Quilty portargli
via Lolita (e poi a quella di Barry Lyndon cui viene sottratta l'amante
in nome del rigido sistema che prevede per lei un marito nobile), alla
rieducazione forzata di Alex in Arancia meccanica o all'umiliazione
programmatica della recluta Pyle in Full Metal Jacket, il confronto
diretto fra David Bowman, l'astronauta di 2001 Odissea nello spazio, e i
suoi limiti conoscitivi, oltre che spaziotemporali..
Ognuna di
queste scene e' il resoconto di un'offesa alla dignita' dell'individuo,
tanto dolorosa (e visivamente insopportabile) quanto alto e' il valore
(anche visivo) che Kubrick assegna alla dignita' (piu' ancora che al
libero arbitrio) come qualita' peculiarmente umana. L'istante in cui gli
improbabili eroi di Kubrick, non disumani anche quando
deumanizzati, spalancano le braccia per accogliere la stoccata letale
genera immancabilmente in chi guarda una forma di pietas, la sensazione
piu' vicina alla simpatia che puo' concederci un regista cerebrale, ma
anche la dimostrazione che Kubrick non nutriva abbastanza spregio del
suo genere per guadagnarsi la patente di misantropo.
Kubrick si e'
fatto camera oscura della realta', prima capovolta e rimpicciolita, e
poi restituita alla vista in forma riconoscibile (non dimentichiamo che,
prima di diventare regista, e' stato un fotoreporter d'eccezione). Il
suo autismo comportamentale ha fatto si' che l'uomo si astraesse dal
mondo perche' l'artista potesse vederlo meglio, come dall'oblo' di una
navicella spaziale. E dallo spazio Kubrick ha riportato indietro quelle
immagini che, come ha detto lui stesso a proposito di 2001, "superano le
limitazioni del linguaggio per penetrare direttamente nel subconscio
con il loro contenuto filosofico ed emotivo " (si', il "freddo" Stanley
ha usato proprio il termine emotivo).
Ci manchera' la sua visione, la
sua lucidita' impietosa, la sua inesauribile capacita' di sorprenderci.
Senza di lui, affonderemo un po' piu' profondamente nel caos magmatico
di fine millennio. Forse fra qualche secolo si dira' che Stanley Kubrick
non e' mai esistito, come si e' detto di Shakespeare, semplicemente
perche' sembrera' impossibile che un solo essere umano, trascendendo
generi e stili narrativi, abbia saputo gettare tanta luce sul suo tempo,
e attraverso il suo tempo sulla condizione umana. Nasceranno leggende
apocrife per spiegare il suo genio, la sua capacita' di trasformare la
realta' in iperrealta' e in questo modo renderla immediatamente
comprensibile. Speriamo almeno che sopravviva intatto il suo stupore di
astronauta nel contemplare l'immenso.
Paola Casella